lunedì 20 giugno 2011

Ma dio balla il merengue?

Sofia non è stata battezzata e non abbiamo intenzione di impartirle nessuna educazione di tipo confessionale. Probabilmente non farà nemmeno l'ora di religione a scuola, anche se a me e a Roberto piacerebbe parlare con lei di religioni, di santi e di dio. Per quanto riguarda le basi della moralità, basterebbe l'imperativo categorico kantiano: "Considera l'essere umano, in te stesso e negli altri, sempre anche come fine e non solo come mezzo". Vado a memoria, forse non è una citazione letterale, ma insomma il messaggio è chiaro. Ciononostante, ieri, davanti a una statua della Madonna, Sofia si è profusa in una pioggia di bacini mandati con le mani. Roberto ed io ci siamo un po' stupiti, ma sappiamo che il nonno, ogni tanto, la porta in chiesa. Non sappiamo come reagire: da un lato ci sembra una cosa innocua, dall'altro un pomeriggio all'oratorio - Roberto a settembre partirà con un gruppo di auto mutuo aiuto per immigrati sudamericani ed ha contrattato con il "don" per avere una sala - ha riaperto in me una serie di ferite ... magari ormai piccole cicatrici sopite da anni, ma fastidiose. A un certo punto della mia vita, intorno ai tredici anni, mi sono chiesta perché gli oratori dovessero essere il ricettacolo di nubili e pedanti donne sulla cinquantina, ancora ridicolmente chiamate "signorine", che portano segnata sul corpo la mancanza di un amore, di un piacere carnale di qualsiasi natura, infagottate in gonne informi di jeans, collant e sandali alla francescana, camiciole dagli improbabili colori "polvere", "fango", "bianco sporco". Perché si dovesse sempre far finta di entusiasmarsi ballando castamente al suono di canzoni come "il signore è il mio pastore" e "tutto il creato è amore": e se provassimo a chiederlo ai libici? Non voglio sembrare cinica e non credo di esserlo: nella fratellanza, nella spiritualità, nella bellezza della natura ci credo per davvero, ma non ho mai capito perché debbano essere rivestite di falsa ingenuità, che alla fine diventa ipocrisia. In fondo ho sempre avuto l'impressione che queste visioni, trasmesse con canzoncine e bacetti a Maria e al crocifisso, siano profondamente parziali, mancanti di qualcosa ... della carnalità, del dolore, del lato oscuro che tutti abbiamo, per cui la vita non è un'eterna benedizione. Ecco: non vorrei che Sofia imparasse, come me, a credere in assoluti che non esistono. Quando io me ne accorsi, che questi assoluti non esistevano e che i miei giovani dolori non potevano esserne risanati, non fu cosa da poco. Fu pure peggio, perché caddi da un assoluto all'altro, dalla beatitudine alla perdizione e trovare la via di mezzo, se vogliamo dir così, non fu affatto semplice. Senza dio, per i miei ex fratelli e sorelle in Cristo, ero perduta, c'era poco da fare. Mi ritrovai sola. Solo più tardi imparai, con Aristotele, che il fine della vita è la felicità e che il Bene platonico è troppo lontano per noi esseri umani. E che la felicità è tale quando la si può condividere con gli altri. Questo vorrei che Sofia imparasse e non credo che nessuna religione possa monopolizzare la questione. Mi sembra assurdo che dio venga addotto a spiegazione di qualsiasi cosa, che ogni cosa debba essere ammantata del riferimento a lui - tra l'altro sempre lui, il padre, mai la madre o, che so io, l'essere, la natura ... Non so come avvenga per le altre religioni: i miei amici valdesi un giorno mi stupirono dicendomi che prendevano lezioni di salsa e merengue per essere più vicini alla loro comunità. Per come li conosco non credo che, nelle serate al chiar di luna passate a ballare, abbiano avuto bisogno di musicare qualche passo dei vangeli. E credo anche che dio, se esiste, gliene sia stato grato.

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